Le carte da gioco napoletane sono amatissime. È molto facile trovarle nei cassetti di una casa, sui tavoli di un bar, o magari in spiaggia, non solo nella città partenopea e nel Golfo di Napoli, ma in buona parte dell’Italia Meridionale. Sono un simbolo di svago, di socializzazione, di sfida, e non solo. Ma qual è la storia delle cate napoletane? Le carte da gioco napoletane sono il frutto storico del contatto tra diverse culture e diverse tradizioni.
Le carte napoletane, un gioco di antica tradizione:
Non è semplice dire come sia nato il gioco delle carte, esistono varie teorie in merito. Secondo una delle teorie più accreditate, è probabile che le carte siano nate in Cina intorno al X secolo. In quel periodo, nell’epoca della dinastia Tang, era stata inventata la carta come materiale di supporto per la scrittura e per la stampa. Inizia così a diffondersi anche la cartamoneta. Pare che le prime banconote avessero un doppio uso: venivano usate non solo come denaro, ma anche come gioco.
Giocando con le banconote si potevano vincere altre banconote, che potevano essere usate per giocare ancora, o per comprare beni e servizi. Nei secoli successivi le carte si diffondono nell’Impero Moghul e in Persia. Dalla Persia arrivano poi in Europa, portate dai Mamelucchi. Il mazzo delle carte mamalucche è diviso in quattro semi differenti: coppe, bastoni, spade e denari. Ogni seme ha tre carte particolari note come “re”, “vicerè” e “secondo vicerè”. Queste sono indicate solo con un nome perché la legge islamica vieta di rappresentare figure umane.
Le carte da gioco mamelucche si diffondono presto in Spagna. Gli europei iniziano a reinterpretarle, aggiungendovi figure umane e molti dettagli peculiari. Si dice che ogni seme del mazzo di carte rappresentasse una classe sociale medievale: il clero era rappresentato dalle coppe, i contadini corrispondevano ai bastoni, le spade ai soldati e i denari ai mercanti. I legami con la Spagna e i rapporti con il mondo arabo mediterraneo hanno contribuito molto al successo delle carte anche a Napoli. Si racconta che già nel Trecento, la regina Giovanna I di Napoli si recasse a Sorrento per riposare e giocare a carte. Con la dominazione borbonica le carte diventano a tutti gli effetti un gioco molto popolare. Nel 1577 il viceré spagnolo arriverà a imporre una tassa specifica sulle carte napoletane. Si era creata, infatti, una vera e propria economia intorno alle carte napoletane. Queste erano prodotte da artisti che disegnavano con maestria le figure che sarebbero state poi stampate sulle carte. Questo mestiere era molto ambito e si tramandava gelosamente di padre in figlio. Non tutti, infatti, potevano intraprendere questa professione: le carte napoletane dovevano disporre di un apposito sigillo reale per essere vendute.
Le carte napoletane sono una vera e propria forma di arte popolare, che a suo modo racconta la storia e la cultura partenopea. I disegnatori delle carte, infatti, hanno inserito nel gioco molti elementi tipici di Napoli. Le carte potevano essere modificate nel tempo, rappresentando figure storiche o eventi significativi (da tradizione, solo i semi non potevano essere in alcun modo modificati). Ad esempio, troviamo la figura di Re Ferdinando come Re di spade. Il tre di bastoni corrisponde alla figura del “gatto mammone”. In realtà su questa carta non vediamo un animale, ma il volto di un uomo con dei lunghi baffi. Questo volto corrisponde alla figura di Nicola Ajossa, un ex delinquente che decise di mettersi dalla parte della giustizia, diventando molto popolare per i suoi successi contro il crimine.
Le carte napoletane erano amate e molte diffuse tra tutti gli strati della popolazione. Erano presenti tanto nei palazzi nobiliari, che nelle strade più popolari. Tanti i marinai che giocavano tra le banchine del Porto di Napoli, portando poi con loro le carte in lunghi viaggi intorno al mondo. Ancora oggi le carte da gioco restano un elemento irrinunciabile, vivo e peculiare della cultura popolare napoletana.
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